Giuseppe Ficara |
CONSERVATORI ITALIANI: QUALE FUTURO?
(Articolo pubblicato nel giugno 1997)
Da quest'anno sono state riconosciute ai Conservatori di musica italiani le competenze del livello universitario; dall'anno Accademico all'istituzione di Dipartimenti, commissioni e gruppi di lavoro e ricerca dei docenti ed organismi di rappresentanza degli studenti, che dovrebbero essere ammessi a dare il proprio contributo per la realizzazione del progetto di istituto. E' inoltre prevista l'introduzione del «tutorato», esplicitamente menzionato nell'art. 8 dell'accordo successivo al CCNL del 10/09/96, che potrebbe costituire, se si riuscisse ad applicarlo, come sta avvenendo nell'Università, una modalità di supporto attivo all'insegnamento, tramite contratti personali retribuiti, per gli allievi degli ultimi anni, i tirocinanti o i neo-diplomati. Sono avvenuti inoltre cambiamenti legislativi che danno al docente il diritto-dovere di intervenire in materia di ricerca e di produzione artistico-culturale, anche, all'interno dell'Istituzione accademica. I docenti avrebbero quindi la possibilità, sia pure con tutte le difficoltà iniziali, di intervenire attivamente nella vita culturale del contesto in cui operano, non solo a titolo individuale -cosa che è sempre stata possibile - ma anche nell'ambito di iniziative istituzionali. Restano però molti problemi da risolvere ed infatti è attualmente in discussione al Senato una legge che riforma tutto l'insegnamento artistico, riunificando Conservatori, Accademie di belle Arti, di Danza e di Arte drammatica in singoli istituti di Alta Cultura (alias Università) denominati ISDA, presenti in almeno una sede per ogni singola regione.
In attesa che la riforma venga discussa, molte sono le polemiche e le voci che si susseguono sui Conservatori, molti i commenti severi da parte di personaggi autorevoli della cultura italiana, molte le autentiche sviste della stampa che forse non si sforza di cercare interlocutori all'interno delle stesse Istituzioni e quindi rischia di cadere nella disinformazione e nel pettegolezzo. Certo, per poter semplicemente porre il problema, occorrerebbe in effetti essere già in possesso di una notevole quantità di informazioni, che non sono purtroppo alla portata di tutti, ma si può sempre chiedere...
Quanto si è fatto in effetti sinora per far conoscere l'organizzazione dello studio della musica nei vari Paesi europei? I mezzi di informazione, anche i più autorevoli, hanno mai fatto un'indagine approfondita ovvero dei raffronti tra i diversi sistemi? chi segue il lavoro delle commissioni europee che molto probabilmente operano già da tempo per uniformare i vari iter di studio al fine di giungere alla totale equipollenza dei titoli prevista dagli accordi di Maastricht? Tutto ciò fa meno cronaca dell'esternazione sia pure giustamente critica di autorevoli musicisti che noi conosciamo e stimiamo, ma che non dovrebbe andare oltre la necessaria funzione di pungolo all'approfondimento.
D'altra parte gran parte della stampa italiana sembra voler tener presente solo il modello francese, che - malgrado le ampie prospettive della politica culturale di un Paese che molto ammiriamo - ha però il difetto, per quanto concerne l'istruzione musicale, di essere troppo accentratore, oltre che decisamente minoritario in Europa. In Francia esistono infatti solo due Conservatori di livello superiore: quello di Parigi e quello di Lione, anche se bisogna ammettere che la diffusione di scuole musicali pubbliche di livello, per così dire, inferiore, non si può neanche lontanamente paragonare al corrispondente vuoto che c'è nel merito in Italia.
Ma prendiamo l'esempio del Belgio, sede della capitale dell'Europa, Bruxelles. Su meno di dieci milioni di abitanti in Belgio esistono sette-otto Conservatori Reali, di livello superiore ed oltre un centinaio di scuole artistiche sovvenzionate dallo stato di livello inferiore ed intermedio (ben venti nella sola città di Bruxelles che è divisa appunto in venti Comuni) dove si insegnano praticamente tutte le arti, dalla recitazione alla pittura, alla musica, alla registrazione audio e video e persino al fumetto. Da queste scuole si può in seguito accedere ai Conservatori o ad altre scuole artistiche.
L' Italia, come il Belgio, ha un Ispettorato all'Istruzione artistica in cui convergono, nel livello superiore dell'Alta Cultura, i Conservatori, le Accademie di Belle Arti (come se le altre fossero brutte... verrebbe da pensare), l'Accademia di Arte drammatica e di Danza e, nel livello medio, le scuole d'arte ed i Licei artistici. In questi ultimi, però, non si sa per quale ragione, non si insegna né musica, né danza, né arte drammatica. Ripeto: non si sa per quale ragione, visto che tale livello intermedio, già esistente da decenni, fa parte dello stesso Ispettorato all'Istruzione artistica (e non bello-artistica...) dei Conservatori e delle Accademia di Danza e di Arte drammatica citate.
In compenso, però, in Italia, forse proprio grazie a questa lacuna, si sono create centinaia di scuole private di musica ed altro -ma non di pittura o scultura-, dove solo da alcuni anni il reclutamento dei docenti è a volte sottoposto al vaglio di un bando di concorso, e dove possono insegnare anche docenti stessi del Conservatorio. Ovviamente, però, per gli esami, bisogna ricorrere al Conservatorio, essendo questa l'unica sede idonea a rilasciare titoli ufficiali di studio; ciò è possibile perchè in sede di esame (esami di Stato, beninteso) sono ammessi anche candidati cosiddetti «privatisti», vale a dire studenti del tutto estranei al Conservatorio, che senza essere iscritti, senza l'obbligo a sottoporsi ogni anno, per sette-dieci anni di corso, ad un esame di promozione dal quale solo il docente può eventualmente esonerare con la propria valutazione, senza frequentare materie come canto corale, musica da camera o esercitazioni orchestrali ( materie di frequenza obbligatoria nei Conservatori) e senza sostenere per queste materie alcun esame sostitutivo, possono - anche nel giro di soli tre anni - sostenere gli esami di quinto, ottavo e decimo corso e conseguire un diploma valido a tutti gli effetti.
Questo senza nessuna possibilità di verifica, da parte della commissione, sull'effettivo svolgimento di programmi annuali comprendenti un repertorio ben più vasto delle singole prove d'esame. Da quando ai Conservatori è stato riconosciuto il livello dell'Alta Cultura ciò appare ancor più grottesco: sarebbe infatti quasi come conseguire la laurea con la sola discussione della tesi...
Fortunatamente nella legge in discussione al Senato è detto chiaramente che agli esami finali degli ISDA (le nuove istituzioni universitarie artistiche) saranno ammessi solo gli allievi interni; ma nel frattempo, la legge che ci ha già dato tutte le competenze del livello universitario (l' accordo citato del 10/09/96 al CCNL), non contiene ancora questa precisazione, anche se si spera che una circolare ministeriale possa già da quest'anno definitivamente chiarire la questione.
Resta inoltre da chiarire il problema della rappresentanza, soprattutto da quando si è introdotta la possibilità di eleggere i Direttori; è proprio su questo che si registrano le polemiche più accese: da una parte sindacale, infatti, e credo dello stesso Ministro, si vorrebbe tornare al criterio di nomina ministeriale per «chiara fama», ed in effetti non si potrebbe dar torto a chi vorrebbe così garantire un'adeguata dirigenza ai Conservatori. Personalmente ritengo però che la nomina elettiva del Direttore possa essere, almeno in un tempo successivo, salvaguardata e che il vero problema sia in realtà, a prescindere dall'organo che conferisce la nomina - sia esso il Ministero ovvero il Collegio dei Docenti-, di stabilire, al di là del concetto fumoso di «chiara fama», un «criterio di eleggibilità», definire dei requisiti, esigere dei titoli artistici, culturali, delle competenze simili a quelle di un Rettore universitario, per selezionare persone in grado di mantenere contatti di studio e ricerca ad alto livello con le Università di tutta Europa, come previsto dai progetti Comunitari, con Enti culturali e realtà produttive a tutto campo, senza limitarsi al locale, ma contribuendo altresì a coinvolgere il locale in progetti di ampio respiro riportando la ricerca e produzione musicale alla dimensione cosmopolita che le è storicamente pertinente, rifuggendo il più possibile dai rischi del provincialismo o peggio ancora della burocratizzazione. Forse occorrono doti manageriali, ma sempre sostenute dalle imprescindibili competenze proprie dell'Alta Cultura: il mero esercizio della pratica burocratica può solo portare gli Istituti di Alta Cultura ad adattarsi supinamente ad un contesto in luogo di intervenire con la giusta autorevolezza per farlo evolvere, esercitando la leadership culturale che loro compete.
Certo i Conservatori sono aumentati di numero ma molto meno degli Atenei universitari e, mentre da una parte molti musicisti preparatissimi sono ciononostante ancora esclusi dall'insegnamento, dall'altra a molti studenti non è ancora dato di poter frequentare classi soggette, in pratica, al numero chiuso - e a dover ricorrere alle lezioni private, non per libera scelta, bensì per necessità. Il cerchio si chiude ma il discorso è ancora aperto.