Istanza di eleggibilità al progetto Erasmus per i Conservatori italiani;
promotore: Giuseppe Ficara.
Sono passati ormai diversi anni dall’ avvio del progetto
Erasmus che sicuramente ha contribuito considerevolmente allo
sforzo di realizzare un’idea di Europa non solo merceologica o valutaria
- senz’altro primordiale ed anche per questo giustamente rilevante - ma
anche civica, formativa e culturale; grande è infatti l’importanza,
per lo studente giunto ad un livello superiore di studi, di avere occasione
di immergersi in una dimensione cosmopolita, di fatto poliglotta, e di
riscoprirvi tracce ed elementi comuni che testimoniano di una lunga ed
assidua reciproca frequentazione di tanti uomini di studio, filosofi, artisti,
umanisti, giuristi, di un continuo scambio di opere d’arte, artigianato,
di nozioni tecniche che insieme hanno costruito, nei millenni, una civiltà
con radici certamente comuni ad altre - e per questo in realtà mai
sostanzialmente esclusiva - ma che a volte sottovalutiamo rimuovendone
la grande valenza di fusione e le grandi potenzialità creative.
Forse una delle prime cose che saltano agli occhi dello studente italiano
in soggiorno di studio ad esempio nei Paesi d’oltralpe, è l’enorme
attenzione che viene dedicata in essi allo studio della musica e la grande
offerta di occasioni di ascolto di musica di repertorio per un pubblico
di fatto numerosissimo e competente.
In effetti per chi opera in campo musicale la dimensione europea è
costantemente presente, al punto quasi da non farci caso; basta aprire
un qualsiasi programma da concerto ed immediatamente si spazia in un panorama
di nomi e forme che fisicamente o virtualmente hanno percorso in lungo
e in largo tutto il continente: impossibile immaginare un Mozart, che scriveva
lettere (non solo opere) in italiano, senza un Salieri, un Piccinni senza
un Gluck e un Gluck senza un Sammartini, un Bach senza un Vivaldi, un Berlioz
senza un odiato Cherubini.
Rimskij-Korsakov nel più studiato manualetto d’armonia del mondo
illustra ai discepoli la cadenza napoletana, Beethoven porta alla perfezione
la forma sinfonica creata da Rinaldo di Capua e Giambattista Sammartini;
il madrigale "viaggia" dai fiamminghi Willaert e Arcadelt agli inglesi
Byrd e Morley per approdare agli italiani Palestrina, Venosa e Monteverdi.
A villa Medici nell’ottocento soggiornano, per lunghi anni, i Prix de Rome
Gounod, Debussy e, prima ancora, Berlioz, che nelle sue Memorie racconta
delle serate al caffè Greco e delle lunghe escursioni in Abruzzo.
Un cronista racconta della lunga visita di Wagner a Rossini a Passy, intorno
a Parigi, nella quale il grande tedesco interrogava il Maestro italiano
sul perchè non scrivesse più opere e questi replicava scherzosamente:
«voyez-vous, je n’ai pas d’enfants!». La chitarra del pugliese
Mauro Giuliani si incontrava a Vienna ai primi dell’ottocento col pianoforte
di Ignaz Moscheles ed alla sua morte si pubblicava a Londra la rivista
The Giulianad. Negli anni tra la duplice e la triplice alleanza
tra Austria, Germania e Italia, forse non a caso, Brahms veniva insignito
della laurea honoris causa dall’Università di Breslavia e Listz
nominato canonico di Albano laziale; il lucchese Geminiani, astro del barocco
strumentale italiano, dopo aver studiato a Milano, Roma e Napoli, visse
a lungo tra Londra e Dublino... si potrebbe continuare all’infinito.
La dimensione europea della musica è imprescindibile; parimenti
si può dire che non può esistere una vera unione europea
che non passi attraverso una rivalutazione di tale enorme fattore di coesione;
inoltre l’Italia in questo contesto dovrebbe avere il ruolo determinante
che la storia le riconosce ma che la realtà di fatto le nega, specie
per via della scarsissima diffusione di un’ educazione musicale di base,
intesa come formazione culturale generale del cittadino.
In altri Paesi europei è già attivo, per i Conservatori
o per le equivalenti Hochschulen, il programma europeo Socrates/Erasmus
che, favorendo la mobilità, di certo aiuta a ricostituire il clima
germinativo della nostra tradizione musicale europea; sarebbe paradossale
escludere proprio l’Italia, che in tutto il mondo, non solo in Europa,
viene riconosciuta come patria della musica, da tale positivo scambio di
occasioni di studio e di elaborazione artistica.
I Conservatori italiani, malgrado i limiti del contesto in cui operano,
hanno continuato tra mille difficoltà a produrre musica, a formare
musicisti ed a coltivare una tradizione musicale purtroppo poco seguita
da un pubblico poco alfabetizzato, spesso distratto, negli ultimi decenni,
dalla superficialità dei media o dirottato verso facili e ripetitivi
ascolti melodrammatici.
In tutto il mondo, ancora oggi, per scrivere musica si adopera la lingua
italiana: lo studente di composizione di Helsinki, di Berlino o di Bruxelles
conosce bene il significato delle parole italiane "allegro", "adagio",
"crescendo", "espressivo", "moderato", "andante", ecc. ecc., perchè
spesso le adopera per scrivere un brano musicale, ma la stessa cosa succede
agli studenti dell’Università di Cape town in Sud Africa o della
Julliard School di New York; non appena varchiamo le frontiere del nostro
Paese ci rendiamo conto di quanto credito goda ancora oggi, nel mondo intero,
il musicista italiano. Lo stesso non si può dire per quanto riguarda
il credito e l’attenzione che la musica gode in Italia nel contesto della
critica letteraria ed artistica che spesso pensa di poter prescindere,
nel proprio operare, da una cognizione sia pure elementare dei rudimenti
teorici musicali. Dai tempi di Benedetto Croce la musica è stata
vista dal letterato italiano e conseguentemente da una parte del mondo
universitario, come una tecnica specialistica se non addirittura come un
fatto puramente viscerale ed emotivo che riguardasse persone per lo più
avulse da presunti grandi movimenti culturali. Questo ha prodotto sicuramente
un danno alla nostra cultura non solo musicale e forse ha influito anche
sulla nostra vita politica. Una stretta collaborazione tra il mondo letterario
ed artistico in senso lato con quello musicale si è invece mantenuta
in molti altri paesi europei, più gelosi delle passate tradizioni,
dove può capitare di incontrare il docente di letteratura comparata
che il venerdì sera suona il violino in orchestra o il medico che
si diletta a suonare, e bene, la viola da gamba o il clavicembalo; del
resto, l’ex cancelliere tedesco Schmidt trovava il tempo nei primi anni
‘80 di incidere un disco di musiche di Schubert con violinisti come Perlman,
mentre nella nostra patria della musica erano diffusi altri hobbies.
Il docente di Conservatorio opera da sempre in quello che universalmente
viene riconosciuto come un contesto di Alta Cultura, anche se in Italia
si mantiene un ordinamento giuridico che di fatto copre un arco di studi
più ampio, arrivando a seguire il discente dal livello inferiore
attraverso quello medio fino appunto a quello superiore universitario.
La preparazione dello studente di Conservatorio in Italia è
spesso supportata dalla frequenza parallela di altre scuole di livello
medio superiore, sovente anche da altri corsi universitari, ma se al docente
universitario di patologia medica o di chimica organica, nonchè
di veterinaria, zootecnica, ingegneria edile e nucleare non si rimprovera
quasi mai di non citare i classici della letteratura italiana a memoria
(ma non è detto che non li conosca), sui docenti di Conservatorio
(dove almeno esiste un corso di letteratura poetica e drammatica) cala
a volte l’alone del dubbio e della stizza inquisitoria, forse proprio per
la scarsa conoscenza della musica di una parte del mondo accademico, quella
che dovrebbe esserci più vicina.
In realtà la vera anomalia dell’Italia in rapporto agli altri
paesi europei è che ci si possa occupare a livello professionale
di letteratura, di storia dell’arte, di architettura, senza conoscere la
storia della musica e senza nemmeno saper leggere due righe di pentagramma;
in pratica trascurando proprio quella raffinata e colta forma di pensiero
che è stata la linfa vitale di tutta la produzione umanistica europea
e del nostro Paese in particolare.
Per questo occorre rimediare quanto prima alla attuale esclusione dei
Conservatori dai progetti europei come l’Erasmus; da una parte non sarebbe
giusto penalizzare migliaia di studenti di Conservatorio italiani degli
anni di corso superiore e dall’altra il nostro Paese perderebbe un’importante
occasione di dialogo e collaborazione per manifestare appieno la propria
identità e personalità storico-culturale.
Si richiede quindi l’eleggibilità dei Conservatori al progetto
Socrates/Erasmus per quanto concerne l’intero corpo docente per le iniziative
che lo coinvolgono e per la fascia di studio superiore del corpo discente.
Il promotore, prof. Giuseppe Ficara, dicembre 1998.
Seguono le seguenti dichiarazioni di adesione alla richiesta di eleggibilità dei Conservatori al progetto Socrates/Erasmus, fatte salve le diversità e la varietà di interpretazioni e di intenti rispetto agli argomenti esposti a sostegno della stessa: